La scena si svolge non lontano dal Tevere, in uno di questi palazzi romani che accolgono i diplomatici inviati dal loro Paese presso la Santa Sede. E, in questo caldo tardo pomeriggio, la fortissima presenza della polizia che regna intorno a Palazzo Borromeo è segno di un’attività insolita. Luciana Lamorgese, ministro dell’Interno italiano, sta per entrare nel cortile. Perché se il luogo ospita un’ambasciata straniera, è quella dell’Italia in Vaticano.
Tema del giorno: i migranti. Sul posto tanti ambasciatori, ma anche il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, il cardinale Gualtiero Bassetti, nonché il presidente della comunità di Sant’Egidio, che da anni invoca la generalizzazione dei corridoi umanitari tra alcuni Paesi in guerra e vecchia Europa. Ospiti ” alto livello “, come si dice in ambito diplomatico, come accade almeno due volte alla settimana in questa ambasciata che intende animare un dialogo costante tra gli alti funzionari della Chiesa cattolica e la società italiana.
E se i ponti tra l’Italia e il Vaticano sembrano essere incessanti, è perché il paese di Dante occupa un posto speciale nella Curia. Chi integra le sue operazioni. “Sì, il Vaticano è in Italia! “, assume ridendo un prelato del nord della penisola. Tutti i non italiani di stanza in Vaticano descrivono questo bagno culturale italiano a cui è necessario adeguarsi, ben al di là dell’uso della lingua. “C’è un misto di cultura degli scambi informali e di eccessivo formalismo”, dice uno di loro. Spiega che se tutte le e-mail devono essere stampate, numerate e archiviate, a volte gli capita di avanzare una cartella difficile incrociando un interlocutore casuale del luogo Saint-Pierre. “Tutto è fatto all’ultimo minuto, aggiunge un altro. Non hai scelta: ti adatti o te ne vai. “
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