Reportage
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Il piatto tipico italiano, composto da cavolo cappuccio fermentato e polenta, rispecchia la storia e la posizione geografica della regione nord-orientale del Paese, parte dell’Impero Austro-Ungarico. Un “piatto di festa” per molte famiglie fin dalla seconda guerra mondiale.
Risalendo il corso dell’Adige, una decina di chilometri dopo Trento (nell’Italia nord-orientale), si svolta a destra in Val di Cembra, verso il piccolo borgo di Segonzano. Lì Danilo Petri, amante della buona tavola in pensione, ci mostra la terra dove coltiva il mais per trasformarlo in farina. Nel suo orto fioriscono anche magnifici cavoli. Questo ex operaio delle cave di porfido (roccia vulcanica), situate non lontano da Segonzano, ha sempre amato lavorare la terra: “È il piacere di produrre ciò che metti nel piatto che mi ha spinto a iniziare.”
Le pannocchie di granturco, giallo acceso e rosso, venivano appese ad asciugare su uno dei balconi della casa. I cavoli verrano trasformati in crauti, tramite la fermentazione, effettuata ancora secondo lo stile del secolo scorso: vengono tagliati molto finemente utilizzando una lama inserita in una macchina di legno costruita da Petri. Vengono poi lasciate in un secchio di legno, dopo essere state cosparse di sale e spezie, semi di finocchio o cumino. I cavoli che il proprietario ha appena tagliato sotto i nostri occhi saranno pronti in poche settimane. Nel frattempo Danilo Petri ci offre un piatto di cavoli precedentemente fermentati, che sono stati cotti lentamente in una casseruola prima di essere mescolati con un grosso soffritto…
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