Le retrospettive non sono mai migliori di quando onorano i cosiddetti giovani registi. Perché i “piccoli signori” sono spesso i più consapevoli del proprio tempo, umili e del gusto del pubblico.
Alberto Latuada è uno di questi. Inoltre, lo dice lui stesso:
Ho sempre avuto una riluttanza a dedicarmi al mio tempo “vittorioso”. Ho persino la civetteria di voler essere compreso solo con un certo ritardo, e quindi di cercare di anticipare certi argomenti e in certi modi.
Che non avesse la statura di Rossellini, l’universo unico di Fellini, l’ambizione di Visconti o l’eleganza contemplativa di Antonioni, Lattuada ha attraversato quasi 50 anni di storia del cinema italiano, avvicinandosi a tutti i generi, con vivacità e acutezza, ma senza una volontà di agire. Ha anche una buona reputazione come eccellente regista per attori e soprattutto attrici.
Dopo la sua partecipazione al movimento neorealista, firma alcune commedie italiane di riferimento, ispirate a testi letterari, mutuati in particolare dalla letteratura russa, che si diramano verso il melodramma, e avventure verso il pamphlet antimilitare.
Ma l’italiano è noto soprattutto per la sua propensione a glorificare la bellezza delle giovani donne liberate che faranno scandalo (“Guendalina”, 1957; “Les Adolescentes”, 1960; “L’Imprévu”, 1961; La Bambina, 1974) . Un decennio dopo, il suo gusto per la lolita non è sfuggito a qualche voyeurismo (“La ragazza”, 1978; “La Cigala”, 1980; “Spina nel cuore”, 1986).
Ugo Tognazzi in “Vieni a prendere un caffè con noi” (1970) di Alberto Latuada. [MARS FILM / PHOTO12 VIA AFP – MARS FILM / PHOTO12 VIA AFP]
Basta suscitare polemiche sul famoso “sguardo maschile”, il modo in cui la cultura audiovisiva tende a vedere le donne dal punto di vista degli uomini, spesso come oggetti del desiderio e del piacere.
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Eclettico e sempre fresco, Lattuada ha cambiato attori e scrittori in quasi tutti i suoi film. Tuttavia, il suo lavoro è coerente attorno ad alcuni temi ricorrenti: la solitudine in cui annegano molti personaggi, il mistero della giovinezza, la critica alla borghesia ben intenzionata e la condanna dell’ipocrisia cattolica, in modo amaro. .
C’è un segreto a Lattuada. Racconta in ogni modo possibile il lamento amaro e comico della solitudine. È il re del minimalismo invisibile, è sempre sotto, mai oltre.
Negli anni ’80 Alberto Latwada si dedicò principalmente alla televisione, realizzando nel 1985 un grande murale, “Cristoforo Colombo”, con Gabriel Byrne nel ruolo del protagonista e nel 1988 una miniserie intitolata “Fratelli”.
Locarno presenta 41 opere per il regista, di piccolo e grande formato, comprese le produzioni televisive. La mostra retrospettiva si svolgerà dal 25 agosto al 14 settembre alla Cinémathèque de Lausanne.