un romanzo“Trintignante, attore complesso” (1/6). All’inizio degli anni ’60, il trentenne, che aveva già recitato in una quindicina di film, trascinava la propria mancanza di fiducia in se stesso. Per caso sostituisce all’ultimo momento il giovane Jacques Perrin ne “Le Vanfaron”, capolavoro italiano di Dino Rize.
Il 12 agosto 1962, il regista italiano Dino Rizzi accompagna Jean-Louis Trintignan al disastro da Parigi a Roma, come viene chiamato il medico di emergenza, per interpretare uno dei due ruoli principali del film. spavalderia. Quando sale sull’aereo, l’attore francese aveva 31 anni e non è quasi nessuno. Ma nel pomeriggio, nella terra della capitale italiana, si è detto che poteva diventare una persona. Tuttavia, ha già girato quindici film in sette anni, compreso E Dio creò la donna (1956) con Bardot. il suo problema? la sua lunghezza. È lungo 1,72 metri. È convinto che sia disabile. diglielo. Ma per la prima volta è diventata una risorsa.
Non immaginava per un momento che questo capolavoro (uscito in Francia nel giugno 1963), in cui non avrebbe dovuto recitare, lo avrebbe spinto in un’altra dimensione. Verso una carriera eccezionale. Alla sua morte, il 17 giugno 2022, all’età di 91 anni, il tributo ha citato in modo prominente la sua interpretazione nel film Dino Risi. Prima di rivivere una carriera durata oltre sessantacinque anni, con non meno di centoventidue film e una quarantina di opere teatrali o letture di poesie. Ciò che è particolarmente evidente è l’intensità quasi unica dei suoi ruoli, anche l’amore, il film del 2012 diretto da Michael Haneke, che ha girato a più di 80 anni e che ha trionfato al Festival di Cannes. Nella sua generazione, nata nella prima metà degli anni Trenta, ci sono Delon, Belmondo e lui.
Trintignant è molto lontano da tutto questo quando, verso il 15 agosto 1962, si ritrova a Roma vuoto dei suoi abitanti, in un tempo sospeso, una specie di tregua tra due battaglie. E Dino Reese non sa che il suo spavalderiacon quasi sei milioni di spettatori in Italia, lo ha reso il maestro della commedia italiana.
Il regista vuole girare in estate, quando l’Italia è solo un posto dove tutto è possibile. Anche quando lo scenario non è scontato a prima vista: un pianificatore professionista ostentato e civettuolo di nome Bruno Cortona, che vive da solo, si imbarca sulla sua decappottabile in uno sconosciuto di nome Roberto Mariani, uno studente di giurisprudenza, timido e riservato amante di un vicino per un drink Livorno, a cinque ore da Roma. Risi Cortona ha da tempo trovato, nella persona di Vittorio Gasman, l’attore con cui condivide la stessa personalità esuberante e il gusto pronunciato per le donne.
Per Mariani è un’altra storia. Il francese Rési ha assunto Jacques Perrin (1941-2022). Carattere strano, francese, italiano in tutto e per tutto. Ma in quel momento, le produzioni congiunte tra i due paesi si intensificarono. Quindi, chissà perché, i registi italiani tendono a credere che i bravi attori possano essere solo francesi. Dall’inizio degli anni ’60 gli studi romani di Cinecittà hanno visto lo sbarco di Alain Delon Rocco e i suoi fratelli (1960), di Luchino Visconti, e Jean-Paul Belmondo in fiacia (1961), di Mauro Bolognini, e La Siociara (1960), di Vittorio de Sica, ma anche di Gerard Blaine, Jean-Claude Brialy, Jacques Charrier, Jean Sorel, Laurent Terzieff…
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