Ieri erano pronte a partire, gli uomini a combattere, le donne a curare i feriti ea raggiungere i figli rimasti nel Paese. E poi mercoledì mattina è tornata la speranza e si sono detti che la guerra potrebbe non aver luogo. “Possiamo respirare, la Russia non invaderà l’Ucraina, almeno nell’immediato futuro”, osserva Oles Horodestkyy. Stabilitosi da vent’anni in Italia, questo ucraino di 45 anni rappresenta la comunità ucraina a Roma, che conta un centinaio di iscritti. Negli ultimi giorni ha moltiplicato gli incontri per preparare una manifestazione davanti all’ambasciata russa che dovrebbe aver luogo giovedì pomeriggio. “La situazione è molto tesa in Ucraina e i miei connazionali che sono emigrati in Italia vivono nella paura, soprattutto le donne che hanno lasciato parte della loro famiglia nel Paese”, dice Oles Horodestkyy. La loro famiglia è molto spesso costituita dai figli piccoli che hanno affidato ai genitori prima di partire perché, in Italia, sarebbe complicato.
“Si sentono imprigionati”
Secondo il ministero dell’Interno transalpino, circa 236mila ucraini hanno depositato le valigie in Italia. È la comunità più numerosa a livello europeo, avendo la Penisola il 28% del numero di migranti di origine ucraina stabilitisi nel vecchio continente. Circa l’80% di queste donne si occupa degli anziani 24 ore al giorno. In Italia si chiamano “badante”. Vengono alloggiati, nutriti e il loro contratto di lavoro prevede uno stipendio compreso tra 880 euro e 1000 euro al mese più una tredicesima mese e tre settimane di ferie pagate. A ciò va aggiunto il TFR equivalente ad una rata mensile per anno di lavoro. Ma molti datori di lavoro “dimenticano” di dichiararli e si rifiutano di pagare loro il compenso in caso di scioglimento. “Questo rappresenta un budget abbastanza pesante per le famiglie. Di recente il fondo “badante” ha deciso di versare un aiuto di 3.600 euro agli anziani o alle famiglie che assumono una badante per un anno, non è molto”, osserva Massimo, che ha assunto una donna ucraina per prendersi cura della madre. la presenza è diventata inevitabile per la crudele mancanza di strutture e di sostegno da parte dello Stato italiano, ma hanno difficoltà a integrarsi nella società italiana.Tuttavia, osserva la sociologa Martina Cvajner, ricercatrice presso l’Università di Trento (Alto Adige), “quasi tutti i ‘badante’ di origine ucraina, moldava o georgiana sono laureati, parlano tre lingue e hanno un’ottima preparazione professionale, prima di venire in Italia erano professori, medici, ingegneri, alti dirigenti ed avevano una vita sociale molto attiva, qui si sentono imprigionati tra quattro mura”.