A Fregene, vicino Roma, Antonio Meneghini fa pagare 12 euro al giorno per una sedia a sdraio e l’accesso alla spiaggia, di fatto privatizzata. Un business redditizio per le concessioni balneari in difficoltà con Bruxelles, che chiede trasparenza e concorrenza.
È in corso la battaglia per queste strutture che occupano la stragrande maggioranza delle spiagge della penisola e le cui concessioni vengono tramandate nella massima opacità di generazione in generazione.
Venerdì 9 agosto, in piena stagione estiva, hanno chiuso gli ombrelli durante una manifestazione di due ore, accusando la Commissione Europea di minacciare un’antica tradizione e il governo di Giorgia Meloni di non sostenerli.
Per Antonio Meneghini, 62 anni, titolare della concessionaria Toni, “Tutta l’economia che ruota attorno al turismo balneare è in crisi”.
Questi stabilimenti, spesso a conduzione familiare, offrono servizi come ombrelloni, lettini e docce, oltre a bar e ristoranti. In alcune zone, come Rimini sulla costa adriatica, occupano il 90% delle spiagge.
Il settore, che ha avuto un forte sviluppo con il turismo di massa negli anni ’60, è ancora in piena espansione: secondo l’Unione delle Camere di Commercio, il numero degli operatori è aumentato del 26% rispetto al 2011.
Di fronte alla potente lobby dei gestori, lo Stato ha regolarmente ignorato negli ultimi due decenni gli avvertimenti della Commissione Europea che esigeva l’apertura delle concessioni alla concorrenza e la fine del rinnovo automatico delle concessioni.
Da parte loro, le associazioni che difendono l’accesso aperto accusano lo Stato di consentire a interessi privati di trarre profitto da un bene comune, pagando in cambio una tariffa irrisoria.
Secondo alcune stime, lo Stato riceve ogni anno 115 milioni di euro per le concessioni in questo settore, che generano un introito di 15 miliardi di euro.
Pedaggio illegale
Le concessioni sono scadute il 31 dicembre 2023, con decisione del Consiglio di Stato, la più alta corte amministrativa italiana. Da allora, non è stato per niente chiaro.
I gestori attendono di conoscere il nuovo quadro normativo ma il governo ha rinviato la questione a fine estate.
“È il Far West. Abbiamo bisogno di certezze, c’è così tanta confusione”deplora Antonio Capacchione, presidente del sindacato degli operatori SIB.
Il signor Meneghini è ancora proprietario della concessione originale del 1936, concessa al nonno Antonio, per gestire il primo impianto di questo tipo sul tratto di costa a ovest di Roma.
Dopo la guerra, suo nonno bonificava la spiaggia dalle mine tedesche. Oggi, tutti e cinque i membri della famiglia lavorano nell’azienda, insieme a 20-25 lavoratori stagionali.
“Eravamo sentinelle del mare”spiega il signor Meneghini. “C’è tutta una storia dietro a questo. Oggi ci dicono: ‘Grazie, puoi andare’.”
Altrove, gli oppositori di queste attività stanno facendo tutto il possibile per costringerle ad andarsene o, in mancanza di ciò, per denunciare le loro pratiche commerciali abusive.
A Livorno, in Toscana, Claudia Gazineo è un’attivista in Mare libero (che significa “Mare libero”). Denuncia le barriere e i tornelli illegali installati dai gestori degli stabilimenti balneari della zona per far pagare l’accesso al Mediterraneo.
“È assurdo perché il mare è di tutti”ha detto alAFP.
Schiavitù dell’ombrellone
L’associazione di tutela dei consumatori Codacons accusa alcuni esercenti di “speculazione” e chiede alle autorità di revocare le concessioni concesse agli esercizi che praticano prezzi bassi. “esagerato”.
In alcune zone, i prezzi settimanali per l’affitto di una sdraio e di un ombrellone possono raggiungere i 340 euro, con una media di 226 euro, secondo uno studio condotto a giugno dall’associazione dei consumatori Altroconsumo.
I sostenitori dello status quo sostengono che l’apertura alla concorrenza stenderebbe il tappeto rosso alle multinazionali straniere, portando a prezzi più alti e a una diluizione del“Italianità” del settore.
Altri sollevano il rischio di infiltrazioni mafiose.
Mare Libero chiede che il 50% delle spiagge siano considerate “gratuito” e accessibili a tutti. Oggi, sono spesso piccole, mal tenute e difficili da trovare.
A Fregene, un cartello appena visibile indica la strada per la spiaggia libera cittadina, dove Primo Massimiani, 70 anni, è sdraiato sul suo asciugamano.
Protesta contro “la schiavitù dell’ombrellone, del biglietto d’ingresso, della sedia a sdraio”.
“Considero giustamente che questa è una forma di schiavitù, uno sfruttamento quasi illegale di un bene comune: le coste e le spiagge.”
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