È una specie di balletto statico che appartiene alle comuni democrazie europee. Al termine delle elezioni amministrative, i vincitori affermano che la loro vittoria ha un valore nazionale, mentre i perdenti cercano di imporre la lettura opposta.
Ma questa volta niente del genere. Dalla sinistra all’estrema destra dello schieramento politico italiano arriva la stessa smentita all’unanimità: le elezioni comunali parziali del 3 e 4 ottobre (con un secondo turno probabile il 17 e 18 ottobre) non possono essere lette che semplici consultazioni locali, e la loro i risultati vanno soprattutto estrapolati. Non avranno alcuna influenza sulle scelte politiche del governo, il presidente del Consiglio, Mario Draghi, che cerca di prendere le distanze dalle divergenze dei partiti, nonché di dare l’impressione di governance consultandosi con loro il meno possibile il più possibile.
Nonostante tutto, la quota di questo voto è tutt’altro che insignificante. Sono coinvolti solo 1.300 comuni degli 8.000, ma il ballottaggio va ancora ai 20 capoluoghi di regione, oltre alle quattro città più popolose del Paese: Roma, Milano, Napoli e Torino. Naturalmente, in virtù della loro diversità, queste megalopoli sono soggette a dinamiche molto diverse tra loro. Tuttavia, alcuni tratti comuni consentiranno comunque di trarre i primi insegnamenti dallo stato degli equilibri di potere, a otto mesi da quando il governo Draghi ha riunito quasi tutte le forze politiche del Paese.
Figure della società civile
Il primo è il ritorno, emerso dalla fine dell’alleanza tra Lega (estrema destra) e Movimento Cinque Stelle (M5S, antiregime), nell’agosto 2019, a una forma di bipolarismo. A destra, anche se le due formazioni dominanti non avevano la stessa posizione nei confronti del governo (la Lega di Matteo Salvini fa parte della maggioranza mentre i postfascisti di Fratelli d’Italia, guidati da Giorgia Meloni, hanno preferito statene fuori), le alleanze sono state fatte senza troppe difficoltà, soprattutto nelle grandi città.
La cosa più difficile, in linea di principio, era trovare candidati moderati che fossero in grado di incarnare questa alleanza a livello locale. Così figure della società civile sono state individuate e presentate all’elettorato come molto lontane dalla vita partigiana, anche se attivamente sostenute da tutte le componenti della destra. È il caso in particolare di Roma (Enrico Michetti), Milano (Enrico Bernardo) e Torino (Paolo D’Amilano).
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