Non è la campagna elettorale che aveva sperato Enrico Letta, segretario del Pd. Tutti i sondaggi danno alla coalizione di destra composta da Lega, Forza Italia e Fratelli d’Italia la favorita per le elezioni legislative del 25 settembre. Quest’ultimo dovrebbe così riuscire ad ottenere la maggioranza al Parlamento italiano.
Dal suo arrivo a inizio 2021 alla guida della più grande sinistra transalpina, Enrico Letta aveva capito che solo un’alleanza elettorale con il Movimento 5 Stelle (M5S) poteva permettere alla sinistra di restare competitiva. Purtroppo, quest’ultimo, sostenuto non senza difficoltà per un anno e mezzo, è esploso in volo sessanta giorni prima delle elezioni, dopo che Giuseppe Conte, leader del M5S, ha causato la caduta del governo di Mario Draghi.
Per evitare una debacle, Enrico Letta ha cercato di allargare la sua alleanza ai centristi di Azione, accreditati di circa il 5% nei sondaggi. Senza successo. Si ritrova quindi solo a dover fare i conti con un partito in fermento per le investiture, concluse questa domenica, 21 agosto, dopo una settimana di polemiche alimentate da candidati estromessi e correnti interne di minoranza. Inoltre, riuscì solo a convincere tre piccoli partiti ad allearsi con lui. Formazioni che non riportano molti voti ma gli hanno chiesto collegi elettorali vincibili.
Morire. Per sbloccare la situazione, il segretario del Pd (PD) sembra, secondo Giovanni Diamanti, fondatore dell’istituto elettorale Quorum/YouTrend, aver scelto di giocare alla polarizzazione con Giorgia Meloni, che guida il partito Fratelli d’Italia. “I due leader guidano i partiti cui è attribuito circa il 24% delle intenzioni di voto, dominando in gran parte uno a destra, l’altro a sinistra, spiega. Per Letta, trasformare le elezioni in una battaglia contro il pericolo fascista e la difesa della Costituzione può rivelarsi utile per mobilitare la sua base. I due partiti hanno punteggi simili nei sondaggi e questa polarizzazione li avvantaggia reciprocamente. Da qui l’idea di organizzare un dibattito alla televisione pubblica il 22 settembre, senza gli altri leader, che hanno fortemente protestato.
Ma, al di là della mobilitazione contro l’avversario, Letta deve dirimere la questione dell’identità del suo partito, ormai associato alla “salvaguardia dello Stato” nei dirigenti della grande coalizione (il PD ha sempre governato dal 2011, tranne che durante i quindici mesi populisti leghisti /Pausa movimento a 5 stelle). Dovrebbe incarnare un partito di sinistra più radicale, avendo rinunciato a diventare l’unificatore dell’intero centrosinistra? Per Diamanti, Letta non è il leader naturale per un’operazione del genere: «È un moderato, non ha il compito di fare il radicale. Tuttavia incarna a pieno il partito che guida: garante della stabilità dell’Italia, serio, quasi techno. Difficile cambiare in meno di due mesi…” Per il momento il programma, che punta su ridistribuzione fiscale, diritti civili e sostegno all’Ucraina, non va in stampa.
Se vuole restare al suo posto, Letta deve fare una proposta forte. Non ha vinto un congresso per guidare il Partito Democratico, ma è stato chiamato dopo le dimissioni del suo predecessore; la sua legittimità è relativa. Questa campagna sarebbe un’opportunità per “spaccare l’armatura”.
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