Aspetto poco conosciuto della sua vita, il figlio di Sète, di cui oggi celebriamo il centenario, è cresciuto nella cultura della madre. Gli ha trasmesso un amore per la canzone transalpina che lo ha profondamente influenzato.
Monumento della canzone francese, nato un secolo fa a Sète sulle rive del Mediterraneo, Georges Brassens si fece il bagno grazie a sua madre Elvira Dagrosa, che chiamò “l’italiano», Nella cultura degli immigrati italiani dal porto dell’Hérault. “Poiché la sua ascendenza italiana è stata trasmessa attraverso il ramo materno, Georges Brassens è passato inosservato per molto tempo come figlio di italiani. Il dettaglio di questa origine sfugge ancora oggi a molti suoi ammiratori, anche tra i più ferventi.», Scrive il ricercatore e professore dell’Università Paul Valéry di Montpellier Isabelle Felici in Brassens e altri bambini italiani.
Presentato da alcuni biografi o anche talvolta dallo stesso Brassens come “napoletanoElvira Dagrosa nacque infatti a Sète da genitori del sud Italia, e più precisamente di Marsico Nuovo, Basilicata, intorno al 1880. Ma lo ricorda il padre Michele, bracciante in agricoltura ed edilizia. allo stato civile italiano nel suo paese di origine: ha quindi la cittadinanza italiana.
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Brassens non conoscerà questo nonno morto nel 1916, ma ricorda sua nonna Maria-Augusta (1862-1926). Dirà in particolare che è stata furba a portarlo a scuola, cosa che lui aveva preso con orrore dopo una punizione. Il mascalzone si precipitò anche nelle gonne della nonna per sfuggire all’ira di sua madre quando aveva fatto qualcosa di stupido. Vedova di guerra, madre di una figlia (Simone, sorellastra maggiore di Georges), Elvira non andò molto lontano per trovare il suo secondo marito, Jean-Louis Brassens: le due famiglie erano vicine, nel quartiere Rivoluzione.
Ninne nanne e tarantelle
Georges Brassens, se ovviamente non ha mai parlato fluentemente l’italiano, si bagna quotidianamente in una famiglia in cui i dialetti della penisola si mescolano con l’occitano locale e in cui la canzone intitolata “napoletano», cioè dal sud Italia, è onnipresente. “Cantava prima canzoni italiane, era napoletana mia madre. Avevo questo repertorio di canzoni italiane. E in quel momento tutti cantavano”, disse Brassens in un’intervista a France Culture nel 1979.
Di solito cita O mio sole e Santa Lucia, che avrebbe poi cantato con Tino Rossi, come le canzoni italiane che sentiva di più nella sua infanzia. Ma probabilmente sente ninne nanne e tarantelle dal villaggio natale dei suoi nonni nella sua famiglia materna. E alcuni troveranno nel ritmo”saltellando” e “inebriante»Di alcune canzoni di Brassens come La moglie di Ettore il ritmo della tarantella tipico del sud Italia. “italiano», Stiratore e molto pio,«amava la musica” maggior parte “non voleva affatto vedere suo figlio diventare un musicista», deplora Brassens nella stessa intervista.
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L’autore-compositore, che i suoi genitori non verranno mai a vedere in concerto, si esibirà in Italia, in particolare a Roma nel 1958. Lascerà per un po’ François Villon per appassionarsi alla musica. Divina Commedia di Dante, e avrà molti amici di origine italiana a Sète (lo scrittore Mario Poletti, l’atleta Eric Battista…) oa Parigi (Lino Ventura). Confesserà anche un amore smodato per la pasta, compresi i cannelloni bianchi di sua madre.
Macaronade e tielle
Sappiamo anche che gli è piaciuto molto I Ritali, il libro di François Cavanna, che senza dubbio raccontò un’esperienza simile alla sua, in un’epoca in cui non era necessariamente bello avere origini italiane. Il suo universo “Tinto con colori italiani”. “Frammenti di lingue e dialetti, piatti che ricordano l’infanzia, le amicizie e un affetto immenso per colei che trasmette e rappresenta questa parte di alterità: sua madre», osserva Isabelle Felici. Mais “l’unica Italia con cui Brassens è stato realmente in contatto è l’Italia immigrata a Sète», conclude.
Nel porto del Golfo del Leone, nato nel XVII secolo per volontà di Luigi XIV, la città conta secondo il comune un terzo degli abitanti di origine italiana. Venendo in ondate successive, principalmente dal sud, molti migranti costruirono la città, commerciarono o andarono a pescare. Negli anni Sessanta dell’Ottocento arrivarono numerose famiglie di pescatori da Cetara (Campania) e Gaeta (Lazio). Originariamente installati nel Quartiere Superiore, sotto la protezione della Madonna della chiesa di Saint-Louis, hanno portato in particolare macaronade e tielle (torta di polpo), che sono diventate specialità di Sète.
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