Il principio di privatizzazione dei guadagni, socializzazione delle perdite particolarmente adatto al fenomeno migratorio. Il caso dell’Italia, prima porta d’ingresso per gli immigrati clandestini, è emblematico in questo senso.
Lo scorso novembre, il primo ministro italiano Giorgia Meloni e il suo omologo albanese Edi Rama hanno firmato un accordo sulla gestione dei flussi migratori che prevede il trasferimento degli immigrati clandestini salvati nel Mediterraneo da navi italiane in due centri di accoglienza costruiti a tale scopo sul territorio albanese. . Due strutture situate nelle località di Shëngjin e Gjader, che possono ospitare fino a 36.000 persone in attesa della valutazione della loro richiesta di asilo. L’operazione avrebbe lo scopo tanto di alleviare la congestione nei centri di accoglienza italiani quanto di scoraggiare i candidati dalla partenza.
Questa futura piccola deviazione attraverso i Balcani è già costata ai contribuenti italiani ed europei 850 milioni di euro. Costi che sono solo all’inizio, per un risultato che sarà irrisorio, considerando la quantità di individui che ogni anno sbarcano sulle coste della penisola. C’è, inoltre, il forte timore che l’operazione apra la strada a una novità Attività commercialein un paese altamente corrotto come l’Albania.
Oltre ai soliti avvocati, interpreti, mediatori culturali e agenti di sicurezza, bisogna aggiungere anche i compensi dei dipendenti italiani che lavoreranno in loco, i costi di collegamento, l’affitto delle sale per le udienze che si terranno a distanza, ecc. E naturalmente, il noleggio di navi – private – che faranno la spola tra le acque internazionali dove avverrà il “salvataggio”, Italia e Albania e il ritorno in Italia per chi ha avuto accesso al diritto di asilo.
Secondo il quotidiano La Repubblica da martedì 4 giugno il conto per la prima nave noleggiata per 90 giorni è di 13,5 milioni di euro. 90 giorni e un limite: potrà trasportare solo 800 clandestini al mese. Una somma colossale per un risultato che lascia perplessi. Tanto più che, a differenza del Piano Ruanda messo in atto dal Regno Unito, i migranti avranno già messo piede sul suolo europeo. Questo spostamento dell’esame delle domande d’asilo non risolve quindi molto, la difficoltà maggiore è quella di rimandare i respinti nel Paese d’origine, cosa che nessuna nazione del vecchio continente sembra in grado di fare.
Ci sono poche possibilità che questa piccola deviazione attraverso i Balcani scoraggi i candidati alla partenza, le ONG che li incoraggiano a conquistare l’Europa, così come le mafie e altri soggetti privati che traggono così profumatamente profitto dal fenomeno migratorio.
Audrey D’Aguanno
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