L’abaco segna 155. Questo è il numero dei voti “sicuri” di fiducia o sfiducia politica nei confronti del governo Conte che saranno sanzionati oggi in Senato dopo le comunicazioni del Presidente del Consiglio, fissate alle 9.30 a Palazzo Madama e in diretta Italia. La barra della maggioranza assoluta è fissata più in alto, a 161, e non è detto che il Presidente del Consiglio non la raggiungerà nei prossimi giorni, quando i riflettori saranno più bassi sul souk di Builders and Managers che nel frattempo, come succede in questi casi, si è formato. Mentre Romano Prodi fa un pronostico.
Governo Conte, fiducia sul filo: quanti voti faranno la differenza tra disastro e vittoria
Ieri alla Camera tutto è andato come previsto, anzi meglio: 321 voti ricevuti invece dei necessari 316 e l’ok è arrivato anche da alcuni deputati che hanno lasciato i rispettivi gruppi e si apprestano a conquistare la maggioranza. Ma il discorso del premier (e la sua attenzione) era tutto rivolto alle 20.30 di domani, quando presumibilmente sarà l’ora del verdetto. Al netto di eventuali assenze dell’ultimo minuto, i voti sicuri per la maggioranza per la fiducia sono 146: 92 eletti dal Movimento 5 Stelle, 35 dal Partito Democratico, 6 da Liberi e Uguali, 5 da Maie. E poi i senatori a vita Elena Cattaneo, Liliana Segre e Mario Monti. Dovrebbero poi arrivare dai 4 ai 7 voti del Gruppo Misto, di Riccardo Nencini e di Renziano Eugenio Comincini, che dovrebbero disattendere l’ordine di Italia Viva che è in fila per l’astensione.
Ma tutta l’attenzione è rivolta all’altro fronte, quello della “sfiducia” (anche se il regolamento del Senato è cambiato e ora il voto di astensione non significa un no): sulla carta ci sono i 53 di Forza Italia, i 19 del Fratelli d’Italia e 63 della Lega oltre al 6-7 del Misto che si schiererebbero contro. Il totale è 142-143 ma a questi vanno politicamente sommati le 16 astensioni di Italia Viva. Con questi numeri, i voti contro il governo (o meglio: la somma tra no e astensione) supererebbero quelli a favore di due unità. Al netto di colpi di scena, visto che all’ultimo momento una o più assenze strategiche possono cambiare tutto. Sono quindi quattro gli scenari possibili in una gradazione che va dal disastro alla vittoria:
- inferiore a 155: significherebbe che il governo ha perso l’appoggio di tutte o quasi tutte le componenti al di fuori della maggioranza e rischia addirittura di perdere il voto; in quel caso Conte dovrebbe dimettersi;
- quota 155: è il numero esatto che segna oggi il pallottoliere e consentirebbe a Conte di restare in piedi con il numero minimo di voti necessario per andare avanti; ma per quanto tempo?
- tra 155 e 160: ciò significherebbe che il governo potrebbe attirare alcuni dei voti necessari alla sua sopravvivenza e si troverebbe a pochi passi dalla maggioranza assoluta; questo è lo scenario che desiderano a Palazzo Chigi, pensando che il tempo giochi a loro favore;
- sopra 160: dal 161 in poi si può parlare di vittoria politica: da quel momento in poi la maggioranza non potrà che crescere nei prossimi mesi e guadagnare tempo in attesa del semestre bianco.
Per questo ieri il premier ha scelto di rinunciare definitivamente a Matteo Renzi e Italia Viva e di lanciare nel suo intervento delle aperture alle forze europeiste e centriste in vista della lotta a quella sovranità che, a dire il vero, gli ha permesso di finire. a Palazzo Chigi all’epoca del suo primo governo. E, a differenza di quanto accaduto fino a pochi giorni fa, ha escluso la possibilità di presentarsi in Senato con le dimissioni in tasca. Il Corriere della Sera scrive che il premier “farà un discorso più snello e più pop” e il pensiero va al 20 agosto 2019, quando l’avvocato “processato” Salvini del Papeete.
Ma se gli accenti non scadono sul personale, Conte non farà sconti a Renzi. Ieri non ha voluto nominarlo, ha chiamato a testimoni i “cari cittadini” e ha denunciato la “ferita profonda” che l’Italia viva ha inflitto alla coalizione e al Paese. La guarigione non è possibile, non per Conte. Il dilemma è se Renzi con i suoi senatori sarà ancora decisivo, al punto da far cadere il governo.
Governo: cosa succede in caso di caduta
Citazione 155: i voti del governo al Senato e i nomi di chi potrebbe cambiare idea all’ultimo momento
E mentre il senatore Gregorio De Falco, eletto al M5s e poi espulso, oggi in un’intervista fa sapere che deciderà all’ultimo momento se votare o meno per il trust, il conteggio dei voti dice che lo sbarco più probabile È che il governo raggiunge oggi i 156 voti e che nelle prossime settimane consoliderà i numeri anche grazie al rimpasto atteso (le due cariche di ministro e sottosegretario lasciate da Italia viva).
Ancora una volta il Corriere rende noto che, ddopo l’annuncio di Liliana Segre, anche Carlo Rubbia, senatore a vita, è disposto a venire a votare per dare fiducia a Conte. Non dà il via Paola Binetti, che fino a ieri era indicata come prossimo ministro della Famiglia dalla voce molto interessata dei renziani, come Antonio Saccone. I rinforzi potrebbero provenire da altre direzioni:
Da Forza Italia, dove c’è una pattuglia di incerti (tra cui Francesca Alderisi e Anna Carmela Minuto), con una di loro che sembra quasi convinta: Andrea Causin, ex PPI, poi Pd, poi Civic Choice. Significativo il voto a favore del governo alla Camera della forza lavoro Renata Polverini, di cui si segnalano da giorni telefonate e contatti a favore della fiducia. Anche alcuni senatori dell’Italia vivente rimangono nel dubbio: se non saranno convinti a votare per la fiducia, una coppia potrebbe restare a casa, abbassando il quorum. Tommaso Cerno era convinto in extremis, così come Luigi Di Marzio. E l’ex M5S Mario Giarrusso avrebbe dato disponibilità, ma si aspetta segnali dal discorso del premier su Atlantia e antimafia.
Intanto Maria Elena Boschi dice che senza maggioranza assoluta il premier dovrebbe dimettersi – secondo i renziani non c’è possibilità che il governo superi i 161 – ma Repubblica oggi conferma che se i senatori renziani si astengono o escono dall’aula, il quorum sarà abbassato , da 321 senatori a vita compresi a 300, all’incirca. In questo caso basta la maggioranza degli elettori per avere fiducia, e Conte ce l’ha. Tiziana Drago, anche lei ex M5s, è data per voto, mentre Francesca Alderisi, eletta al Senato in Forza Italia, è data tra gli incerti così come Andrea Causin e Anna Carmela Minuto.
La Stampa scrive che i “costruttori” o i “responsabili” chiedono in cambio ministeri: “Ne avrebbero messo uno alla Camera per il gruppo Tabacci, uno al Senato per l’Udc, forse anche un dicastero al Maie, in ordine. Per non convincere alcuni senatori del gruppo Misto ancora indecisi, gira voce che il premier abbia promesso una candidatura nella sua lista, alle prossime elezioni. In questo modo – dice un esponente del governo – i senatori Mario Giarrusso, Tiziana sarebbe stata convinta Drago e Lello Ciampolillo “. Così, dai 155 voti al Senato si passerebbe a 158.
Un piano per un nuovo gruppo popolare e la nuova squadra di governo
C’è chi, nella maggioranza, teme che la strada che porterà a sostenere il governo si trasformi presto in “un Vietnam nelle commissioni parlamentari, che di fatto rallenta il Paese”. Perché è proprio lì che il governo potrebbe finire in estrema difficoltà e trovarsi a dover accettare un voto contrario per ogni provvedimento proposto, visto che l’equilibrio si è formato in tempi in cui la maggioranza che lo deteneva era un’altra. Il Messaggero fa l’esempio della commissione bilancio al Senato, dove a breve bisognerà esaminare il Piano di ripresa e verrà redatto il Rapporto da presentare alla Camera: la maggioranza, compreso il presidente, ha 13 senatori; il centrodestra 11, 2 di Iv. Se i renziani si schierassero in un voto con il centrodestra, sarebbe un pareggio e, di conseguenza, la maggioranza sarebbe battuta. Discorso analogo per gli Affari costituzionali e altre commissioni strategiche. Questo nodo, ad oggi, è destinato a rimanere irrisolto.
Intanto il Pd Conte offre la promessa di un nuovo patto legislativo che verrà scritto nei prossimi giorni. Rafforzerà la squadra di governo, parole che sembrano mandare in soffitta l’ipotesi di un Conte ter, lasciando il posto a un rimpasto, sicuramente meno doloroso. Ma coloro che gli sono vicini dicono all’Adnkronos che un governo nuovo di zecca non deve ancora essere escluso. La partita si giocherà nei prossimi giorni, forse settimane, il tempo necessario per vedere se i disponibili risponderanno alla chiamata. E, in tal caso, valuta il peso delle loro richieste.
Il piano è chiaro anche nel discorso pronunciato da Conte alla Camera, che guarda all’Europa e apre una finestra sulla legge proporzionale, offerta allettante per gli azzurri. Tant’è che c’è chi è pronto a scommettere sulle assenze strategiche delle forze domani a Palazzo Madama, salvifiche per abbassare il quorum e dare al governo la possibilità di dimostrare che i voti dei renziani non sono determinati a trattenere Conte e il suo governo vivo. Una partita a scacchi, con esiti ancora imprevedibili.
Gli stati d’animo sulle montagne russe, tra sospiri di sollievo e l’ansia di andare a sbattere duramente. Mentre l’opposizione alza la testa, Fdi e Lega chiedono a gran voce che il presidente del Consiglio vada via se domani non riuscirà a raggiungere l’obiettivo della maggioranza assoluta. Conte si prepara alla sfida, presto, molto presto, cederà la delega dell’intelligence a un suo uomo di fiducia, “anche se non ha ancora deciso chi”, assicurano i suoi collaboratori. Parole, parole, parole e ancora parole. Ma oggi sarà il momento dei numeri. E tutte le chiacchiere saranno spazzate via.
L’augurio di Prodi: i numeri ci sono e possono crescere
Intanto Romano Prodi in una lunga intervista ad Avvenire azzarda un pronostico il giorno del voto a Palazzo Madama: “I numeri saranno piccoli, ma ci saranno. Poi potranno anche crescere. Tuttavia, non cresceranno entro. mediando, ma solo correndo in avanti “. Prodi poi “bacchetta magica” Renzi. “Ho solo una parola per definire l’apertura della crisi: follia. Ma ci sono politici che quando si rendono conto che stare in coalizione non paga si innervosiscono, poi impazziscono e poi buttano via tutto”. Anche Conte è stato molto duro. “Sì, non lo ha schiaffeggiato come ha fatto con l’altro Matteo, ma di certo ora la porta è chiusa. Renzi lo chiama antidemocratico, lascia il governo … È una rottura totale. Quando la dignità viene colpita, scendere a compromessi è solo un segno di debolezza “. Poi un’ultima domanda: non trovi imbarazzante l’idea di un governo basato su una pattuglia di persone” responsabili “? Prodi è chiaro: “L’alternativa anti-Europa metterebbe fuori combattimento l’Italia. L’Italia ha assolutamente bisogno di un dialogo credibile con i nostri interlocutori europei”.
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