Come l’incontro del cinema italiano per eccellenza ha tenuto così a lungo fuori dallo schermo il cinema di “serie B”.
Ricordo di un evento raro a Villeropet: nel 2008, il Festival del cinema italiano ha celebrato Halloween con una proiezione tardiva (e con scarsa partecipazione) al Cinema Rio del classico horror italiano. suspense. Un disastro passato inosservato: il capolavoro di Dario Argento, restaurato l’anno precedente in occasione del suo trentesimo anniversarioH Anniversario, pubblicato su supporto DVD. Da qui l’immagine ritagliata che riempiva due terzi dello schermo, i colori scialbi e pixelati (il peggior insulto al film, che conosciamo per il suo meraviglioso lavoro sul colore), un leggero ritardo nella sincronizzazione immagine-suono… a metà film il disco salta, stanco di dare tanto ad un sistema espositivo insoddisfacente. Lo spettacolo termina in modo doloroso, dopo più di 2 ore e 30 minuti di spettacolo (il film dura 98 minuti). Basta, ad esempio, questo aneddoto per svelare quanto poco interesse il festival abbia dimostrato, nel corso della sua lunga esistenza, per il cinema italiano.
Altro dato rivelatore: per quanto riguarda i film di Fellini, Visconti, Scola, Risi, Monicelli, Comincini o Wertmüller, che sono stati proiettati quasi universalmente o quasi regolarmente, il festival ha proiettato solo un film di Sergio Leone, È buono, è proto, è kativo (1966), in… 2008 – Un omaggio meno al maestro dello spaghetti western che alla colonna sonora di Ennio Morricone (il tema di quell’anno era “Musica, maestri!”). La colpa è di Bobby Avati, regista viziato di Villeropet, dove sono stati proiettati 24 film (metà della sua filmografia): drammi storici (essere nero1984; Dizionari d’amore1994), commedia (Sposo1987; I miei amici del bar margarita2009), Romanze (Ayutami ha sognatomillenovecentottantuno; Jetta della scuola1983)… Nel corso degli anni, il festival ha tessuto un panorama completo del prolifico regista polacco, senza includere il genere fantastico in cui spesso si distinse – Infilare il foro (1979) e Incantesimo arcano (1996) fanno eccezione, ma non se ne trova traccia negli archivi del festival cult del Gallo e dei suoi esordi La casa dal finestri che ridono (1976) e non è il più recente e imponente Se ne rammarica (2007) o Signor Diavolo (2020).
Tesori popolari
Se l’amore di Villeropet per il cinema è incondizionato (e decisamente antielitario), è parziale. In effetti, il genere del cinema è spesso lì. Ma raramente è diretto. I fenomenali romanzi polizieschi di Francesco Rossi (Serie A)Salvatore Giuliano1960; Sono in città1963; Carcasse eccellenti1976) o Damiano Damiani (Confessione di un questore alla Procura della Repubblica1971; Yo ho bora, 1977) ai margini del cinema di genere, influenzandolo a sua volta. Elio Petri, figura di spicco del cinema italiano, ha spinto al culmine le regole estetiche del giallo (Indagine questo cittadino al di sopra di ogni sopetto1970; Va tutto bene, 1976). Il Festival di Villeropet-Petri è stato celebrato più volte, anche attraverso mostre retrospettive ad esso dedicate; Non siamo mai stati lì Manichino decimale (1965), una satira pop divertente e apocalittica avvolta nella fantascienza, portata da Ursula Andress e Marcello Mastroianni all’apice della loro gloria.
Chiaramente, tutto questo non è un regolamento di conti, e tanto meno un processo. È piuttosto un messaggio di speranza per un’istituzione che, nel corso dei suoi 46 cicli, non ha mai osato toccare il tesoro nascosto del cinema italiano, così inesauribile da poter riempire da sola i successivi 46. Questi film esistono (per lo più in DVD!) e molti di essi vengono restaurati e proiettati regolarmente nei cinema francesi. Soprattutto il cinema italiano, che si ramifica in un’infinità di correnti, ha un pubblico fedele e resta molto popolare. Ricordiamo che negli anni Sessanta e Settanta, nei cieli di Chinchita, i lavoratori di tutto il nord Italia avevano come hobby principali il calcio e il cinema. I sontuosi western di Sergio Leone, le commedie di Terence Hill e Bud Spencer, i thriller freddi e violenti di Fernando Di Leo, i film d’azione di Stelvio Massi e Umberto Lenzi e i thriller di Argento, sono stati tutti campioni del botteghino italiano per una ragione ai loro tempi. Costituiscono testimoni di un cinema intrinsecamente popolare.
“Nota DeLorean”
È diventato così normale che noi di Villeropet non abbiamo accesso a tutta questa parte preziosa del cinema italiano, che finiamo per dimenticarla. Ma il festival, da sempre attento a valorizzare il cinema d’epoca, facciamo appello a lui per scoprire gli autori che vi troveranno posto, come Fernando de Leo, il cui maestoso Urban Milano Calibro 9 (1972) avrebbe potuto essere adattato al tema del festival di quest’anno, che mette in primo piano il capoluogo lombardo. Oppure Umberto Lenzi, che mostra il suo lato viscido nei suoi abiti nerissimi Milano Odia : La polizia non può essere risparmiata (1974). O Liliana Cavani che, catturando la Milano nella sua forma più terrificante, fa rivivere la grande, sconosciuta distopia. L’ho smontato (1969). O…
L’unica cosa a cui siamo contrari è che abbiamo lasciato per così tanto tempo fuori dallo schermo la meravigliosa eredità del cinema horror transalpino, anche se accade ogni anno ad Halloween. Il festival tardava a recuperare terrenosuspense-gate” con la première di “Notte dell’orrore”, il 31 ottobre 2022, che ha reso giustizia a Dario Argento in un doppio programma a scelta (Profondo rosso1975; il buio, 1982). Spettacolo martedì sera Maschera del diavolo (1961) e Ragaza che sapiva trupo (1963), capolavoro classico di Mario Bava, indica che la formula diventerà un appuntamento fisso. Ci piace immaginare che in futuro il Fillirupt Festival dedicherà un tema o carta bianca a film e autori ingiustamente disprezzati, che abbiamo dimenticato essere stati pionieri nel coniugare paura, azione e grottesco. Innovazioni e un acuto senso narrativo uniti a un’acuta (ma sfacciata!) osservazione del mondo che li circonda. È tutto orgoglio italiano.
Mario Bava, il genio pionieristico
Mario Bava è ancora poco conosciuto rispetto al suo principale erede Dario Argento, che non è solo un maestro del cinema horror italiano, ma anche un maestro del cinema in generale, riconosciuto a suo tempo dai suoi coetanei. Direttore della fotografia fisso per Mario Monicelli e Stino, divenne un artista maledetto all’inizio degli anni Sessanta quando passò alla regia solista, dopo aver co-diretto il film horror italiano d’avanguardia (I Vampiri, 1957, con Riccardo Freda). e il primo film di fantascienza in Europa (La Morte Viene Dallo Spazio, 1958, con Paolo Huesch).
Il suo primo film, La maschera del Demonio (1961), con la famosa attrice Barbara Steele, fu una vera svolta per il cinema horror italiano in un’epoca in cui registi, generi e metodi di produzione erano sempre più sfrenati. Con La ragazza che sapeva troppo (1963, in bianco e nero) e Sei donne per l’assassino (1964, a colori), codificò il “giallo” che sarebbe, pochi anni dopo, diventato l’eccezione culturale e l’orgoglio nazionale. del cinema italiano low budget, grazie a Dario Argento Sergio Martino, Aldo Lado e Bobby Avati. Terrore nello spazio (1966) fu l’ispirazione primaria per Alien (Ridley Scott, 1979) e Reazione a catena (1972) che istituirono il sottogenere “slasher”, sviluppatosi poi negli Stati Uniti con Halloween (John Carpenter, 1978). o Venerdì XIII (Sean S. Cunningham, 1980).
Sempre in anticipo sui tempi, cineasta iperattivo e costantemente messo alla prova da tempi di ripresa brevissimi, budget ridotti e successo complessivo inesistente, Mario Bava è oggi giustamente considerato un genio pionieristico. Anche nei suoi film più strani, e per questo unici, come Diabolik (1967), adattamento popolare e anticonformista dell’omonimo film di “fumetti”, Le spie vengono dal Semifreddo (1966), parodia pesante ma fantasiosa di James Bond. , o il fenomenale Cani arrabbiati , violentissimo thriller hitchcockiano ambientato interamente all’interno di un’auto, realizzato nel 1974 e rimasto inedito fino al 1995, quindici anni dopo la sua morte.
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