Spostando sottilmente la sua sede al culmine dell’estate, Il Cinema ritrovato (“Cinema ritrovato”) a Bologna, in Italia, è stato uno dei pochi festival ad essere passato attraverso le cadute dell’emergenza sanitaria. 35 lahNS L’edizione si è svolta dal 20 al 27 luglio, sicuramente con un pubblico decisamente più ridotto del solito, ma un programma quanto mai lussuoso. Organizzato dalla Cinémathèque di Bologna, questo evento apre la strada alla memoria del cinema, presentando una vera e propria serie di restauri classici, non isolati, i più recenti restauri, scoperte d’archivio o retrospettive dietro le travi. Quest’anno sono stati premiati l’attrice francese naturalizzata tedesca Romy Schneider, la cui foto adorna il poster dell’edizione cartacea, e il regista americano George Stevens, un classico artigiano di Hollywood.
Girovagando tra le sezioni, i festivalieri di quest’anno sono invitati a confrontarsi con la questione dei nuovi scritti o di come i registi osano, a intervalli regolari, rinnovare completamente il lessico cinematografico esistente. Nella sezione “Century of Cinema” dedicata al 1901, viene presentata una selezione delle opere di Ferdinand Zica (1864-1947), artista assunto come regista da Pathé per far girare le bobine sulla catena, in particolare storia del crimine. Questo nastro di cinque minuti, che traccia il percorso di un assassino dal branco alla ghigliottina, è rimasto popolare perché presumibilmente ha inventato il flashback. Con una magistrale interruzione dell’arredo, il contributo di Zecca è soprattutto la suggestione di uno spazio onirico: il suo eroe imprigionato alla vigilia della sua morte, vedendo scorrere tutta la sua vita nello spirito. Una grande idea di montaggio spaziale che unisce nella stessa inquadratura il passato e il presente, la scena reale e la scena immaginaria. Con questo gesto Zika, geniale inventore, strappò il cinema dalla sua parentela teatrale.
Il potere nascosto del cinema
Tra gli spettacoli sotto le stelle in Piazza Maggiore, un rito tanto atteso del festival, è un rito succhiasangue (1932), del regista danese Karl Theodor Dreyer (1889-1968), fu un evento. Questo film fantastico, e uno dei più spaventosi, proviene dal periodo di transizione tra il silenzio e la parola. Segue l’arrivo di un giovane appassionato di esoterismo in un sinistro paesino infestato da un vampiro. Nel frattempo, sembra evolversi nel nucleo dell’incubo mentre gli standard della realtà ordinaria vengono capovolti. Per Dreyer, questo materiale non è altro che il potere sottile del cinema: ombre senza corpo danzano servi infernali, volti riempiono le immagini di terrore, spazi incoerenti, il tempo si inverte o rallenta.
Hai il 46,23% di questo articolo da leggere. Il resto è solo per gli abbonati.
“Analista. Creatore. Fanatico di zombi. Appassionato di viaggi. Esperto di cultura pop. Appassionato di alcol”.