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Ettore Scola – “La Terrazza”

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Ettore Scola – “La Terrazza”

La ricomparsa di Les Acacias da portico Ci invita a soffermarci su questo capolavoro dell’opera di Ettore Scola, spesso considerato “il canto del cigno della commedia italiana” (1). Uscito nel 1980, il film sembra aver davvero posto fine a due decenni di fiorente cinema italiano, con le risate che servono a un’acustica acuta per i cambiamenti e le carenze della comunità transalpina. La sceneggiatura, premiata al Festival di Cannes, è stata inoltre scritta dal duo Age-Scarpelli (per Agenore Incrocci e Furio Scarpelli), autori della maggior parte dei successi di quel periodo e in particolare spavalderia (Mario Monicelli, 1958) che ha aperto questa epoca gloriosa. Aiutata da un cast che ha riunito tutte le star dell’epoca (Marcello Mastrooni, Vittorio Gassman, Ugo Tognazzi, Jean-Louis Trentignan, Serge Reggiani, Stefano Satta Flores), questa commedia drammatica si presenta come un’opera riflessiva in forma di bilancio perché rivela, allo stesso tempo, Il Movimento, su una critica delusa allo sviluppo della società italiana dal 1945 e del cinema che ne è stato lo specchio deformante.

Con Ettore Scola, la risata è sempre adornata di nostalgia e amarezza, dando vita a questa alleanza unica che ritroviamo fin dai primi momenti di portico. Dans ce lieu, qui révèle par sa seule nature l’embourgeoisement et qui incarne à merveille le caractère microcosmique de toute intelligentsia, se retrouvent cinq amis quinquagénaires tous affiliés, d’une manière oure de la au de la culture Politics. Enrico è uno sceneggiatore che deve scrivere un film per Amedeo, il produttore, Sergio si occupa della sezione culturale della RAI, Luigi è un redattore editoriale e Mario è un deputato del Partito Comunista responsabile degli affari culturali. A partire da questa scena dello spettacolo, il regista prende la forma del film con schizzi che hanno reso il climax della commedia italiana meglio trasformarlo mostrando il suo opposto negativo. Scava il solco della scala, visibile attraverso le sembianze di Galeazzo Benti e Agenor Encroshi nei rispettivi ruoli, e inizia la sua narrazione con il momento in cui Amedeo chiede a Enrico di scrivere un film con dei disegni per “far ridere”. Ma alla luce del paradigma culturale in continua evoluzione e dei crepuscoli di un’età dell’oro, il tempo delle battute è finito e lo sceneggiatore, arrabbiato per i suoi ordini commerciali lontani dalle sue aspirazioni, si dimostra incapace di scrivere questa farsa. . Gli altri quattro brani seguono questo stesso movimento di disillusione e raccontano le avventure di questi uomini alla fine della loro carriera, che non si riconoscono più nell’evoluzione del loro mondo e che guardano con disperazione a questi anni sprecati in cui non è rimasto quasi nulla .

© Acacia

Oltre alla preoccupazione per lo scorrere del tempo e per lo stesso irrazionale desiderio di giovinezza, c’è un’altra caratteristica che accomuna questi cinque protagonisti: l’impotenza. La storia di ciascuno testimonia il modo in cui questi rappresentanti della generazione del dopoguerra vengono gradualmente spogliati di ogni potere e spinti ai margini di una società che non sono riusciti a cambiare. La pagina bianca in cui Enrico si scontra con i dialoghi con quella nera dell’articolo di Luigi, si trasforma subito in un gomitolo di carta che finisce nella spazzatura quando viene a sapere che la redazione ha ritirato la carica di caporedattore, propedeutico al licenziamento di il giornale per il favore del più giovane. Allo stesso modo, le lunghe lettere scritte da Mario non ottengono risposta e le opinioni di Sergio sulla politica culturale della Rai sembrano perse nel vuoto. Questo sentimento di saccheggio è presente anche a livello degli sposi perché questi eroi cercano disperatamente di trovare, attraverso un sentimento d’amore, la traccia di un passato glorioso o, almeno, una certa idea che essi stessi hanno, quella di una giovinezza ambiziosa. Uomini capaci di turbare l’ordine delle cose. Amadeo e Luigi si sforzano in tutti i modi di restituire al loro amante l’aspetto perfetto che avevano visto su di loro, e Mario si innamora di un giovane attivista, che pensa di reclamare vent’anni frenetici contemporaneamente. Ma queste donne, e possiamo aggiungere a questo elenco la moglie di Sergio che a quanto pare lo ha lasciato, finiscono sempre per scappare da loro perché in qualche modo sono l’antitesi di questi esseri nostalgici e superati. Fermi nel loro ambiente professionale, mostrano successo e iperattività che contrastano con la cupa indifferenza di questi personaggi che si lamentano del loro destino. Di fronte a quegli uomini che rifiutano di partecipare a un sistema politico, mediatico e culturale che non riconoscono più, queste donne rappresentano l’altra posizione, quella dell’accomodazione, anche se significa ignorare certi valori.

© Le Acacie

Questa opposizione è incentrata sulla coppia Luigi Carla e si cristallizza attorno a una scena di ristorante dove il giornalista cerca di rianimarli tornando nei luoghi in cui è stato quindici anni fa. Ma lungi dal ravvivare il fervore dell’anno passato, la ripresa punta solo crudelmente alla trasformazione irreversibile degli individui e dei legami che li uniscono. Le parole di riconciliazione pronunciate per la prima volta negli anni ’50 sono coperte dal suono di una carrozza scricchiolante portata da un anziano cameriere che soffre chiaramente di morbo di Parkinson, segno che la ruggine degli anni sta ora prevalendo su altri pronunciamenti romantici e tendenze. Come il movimento tremante e a scatti del maggiordomo, la ripetizione dei gesti del passato, balbettando e strenuamente, non può che portare al fallimento. Luigi si sforza di parlare del suo passato condiviso quando Carla condivide le sue ambizioni per la sua futura carriera. L’amante frustrato riassume la situazione in termini rivelatori: “Uno parla di sentimenti, l’altro parla della sua carriera”.

© Acacia

La forma stessa del film, che finisce sempre per tornare alla scena iniziale sul balcone, trasmette una balbuzie alla presenza di questi cinque eroi, una pausa in ogni progressione e un eterno ritorno allo stesso centro nevralgico che non serve a nulla. Giusto per misurare il tempo trascorso. Questo luogo maestoso dove la servitù serve un banchetto sofisticato testimonia anche la restaurazione di quegli intellettuali che devono accettare la propria decadenza così come la sconfitta della loro generazione, il “crollo verticale degli ideali” come sottolinea Mario. Niente più battaglie da combattere, niente più utopie da perseguire. Non resta che una serata senza fine in cui i personaggi cenano sui piatti più pregiati per dimenticare il vuoto che un tempo li occupava. Come Sergio che scompare nella “neve artificiale, sotto un albero di plastica”, il futuro di questi rivoluzionari del passato sarà inghiottito da un sistema commerciale e superficiale che ingoia valori nobili per rafforzare al meglio la tirannia dello spettacolo.

Ci introduce poi Ettore Scola, regista di Disappointment and Che passa il tempo Ci amavamo moltissimo (1974)E il Un altro capolavoro sullo sviluppo della società italiana durante i gloriosi anni Trenta e le promesse lasciate lungo la strada, su quei sogni non realizzati che prosciugano la tenera malinconia come unica eredità.

1) Thorette Jean Baptiste, cartella stampa.

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