(Città del Vaticano) – Si è aperto martedì in Vaticano, dove per la prima volta un simile chierico è sotto processo contro il cardinale Piccio e soci per vari reati finanziari, iniziato a fine luglio.
Al centro di questo straordinario processo davanti al tribunale statale più piccolo del mondo c’era Angelo Piccio, destituito dall’incarico e privato dei suoi privilegi fondamentali dal papa sovrano nel settembre 2020.
Alla sessione di martedì ha partecipato il cardinale Pique, 73 anni, un giovane sardo vestito di nero accatastato sulla sua sedia, che non è stato invitato a parlare.
Al centro dell’azione: il costoso acquisto di un prestigioso edificio a Londra nell’ambito degli investimenti della Santa Sede, il cui patrimonio immobiliare è significativo.
La sessione di martedì, dedicata alle questioni procedurali, è durata circa due ore prima di una pausa fino a mercoledì. La parte principale delle discussioni è stata dedicata ad un vivace confronto tra il pubblico ministero e gli avvocati difensori che hanno lamentato l’impossibilità di accedere ad alcuni elementi del fascicolo.
Aperto il 27 luglio, il processo è stato rinviato a ottobre per dare più tempo alla difesa per prepararsi.
Il processo si svolge in una sala appositamente attrezzata, appesi alla parete, dietro le sedie dei giudici, una croce e un ritratto di papa Francesco.
Conchiglie marine e intermedie Shady
Un’indagine durata due anni sul ruolo di Angelo Piccio e di diversi alti funzionari dell’amministrazione vaticana, società offshore e intermediari ha portato all’incriminazione di dieci eroi responsabili di frode, appropriazione indebita, abuso di potere, riciclaggio di denaro, corruzione ed estorsione.
L’accusa descriveva il coinvolgimento “quasi inestricabile” di hedge fund, banche, istituti di credito, persone fisiche e giuridiche…
Acquisizione dell’edificio di 17.000 m22 Situato al 60 di Sloane Square nell’esclusivo quartiere londinese di Chelsea, è troppo caro e gravato da un’ipoteca nascosta, diventando un incubo terrificante per la Santa Sede.
Dei 10 imputati, la metà era impiegata nella Città del Vaticano durante l’acquisto spericolato.
Nel 2013-2014, il ministro degli Esteri ha preso in prestito oltre 166 milioni di euro, principalmente da Credit Suisse, da investire nel fondo lussemburghese “Atene” dell’imprenditore italo-svizzero Raffaele Mencioni.
conflitto d’interesse
La metà dell’importo è per l’acquisto del 45% dell’edificio londinese e l’altra metà per investimenti in borsa.
Raffaele Mincione utilizza poi i soldi della chiesa per “operazioni speculative”, come l’acquisto di banche traballanti. In caso di conflitto di interessi, i giudici finanziano anche i propri progetti.
La Santa Sede, che subisce perdite e non controlla, non necessariamente moralmente, la scelta degli investimenti, deciderà dopo quattro anni, a fine 2018, di rompere questa partnership.
Il nuovo broker londinese, l’italiano Gianluigi Torzi, viene quindi scelto per negoziare con Raffaele Mencioni – che riceverà 40 milioni di sterline – e la piena proprietà dell’edificio da parte del Vaticano.
Tuttavia, il signor Torzi prenderà il controllo della proprietà (attraverso azioni con diritto di voto) dal quartiere vaticano.
Due persone in particolare avrebbero aiutato i due broker londinesi a farsi pagare: l’ex banchiere del Credit Suisse Enrico Crasso, per decenni consulente finanziario della Segreteria di Stato vaticana, e Fabrizio Terrapasi, un dipendente italiano di questo dipartimento.
Quanto ad Angelo Bessio, nel 2014 è stato “alternativa al ministro degli Esteri”, equivalente al ministro dell’Interno e come tale in costante contatto con papa Francesco.
Saranno chiamati in causa anche il suo ex assistente, padre Mauro Carlino, i due ex capi della Guardia di finanza vaticana (Aif, da allora ribattezzata), lo svizzero Rene Bruhlhardt e l’italiano Tommaso de Rosa.
Oltre all’acquisto a Londra, il processo esaminerà altre due imbarazzanti pratiche del cardinale Piscio: lo stipendio di un mediatore italiano per negoziare il rilascio dei religiosi rapiti e il finanziamento dell’attività del fratello per potenziali attività non caritative.