La Rai sta diventando “TeleMeloni”? Il premier italiano ha preferito ironizzare nel “Quaderno di Giorgia”, la sua rubrica sui social media personali, con questa formula usata dall’opposizione. L’ultima polemica sulla nuova crisi della Rai, il gruppo pubblico italiano, è iniziata sul canale di informazione continua RaiNews24, il 7 luglio alle 22.00
Quel giorno, il telegiornale si apre con la decima edizione del festival Villes identitaires, che si propone di “ promuovere i simboli che rappresentano l’italianità e il Made in Italy ” invece dei risultati delle elezioni legislative in Francia. Un “ grave mancanza di informazioni “, si legge nel comunicato del principale sindacato dei giornalisti, l’Usigrai, e della redazione in cui viene attaccato Paolo Petrecca, direttore del canale dal 2021.
Le dimissioni del vicedirettore dell’emittente, le spiegazioni della dirigenza Rai e i dissensi interni non hanno placato i dibattiti. Nel frattempo, sono in corso le audizioni della commissione parlamentare di monitoraggio e le trattative tra i membri della coalizione di destra per il rinnovo del consiglio di amministrazione del gruppo audiovisivo.
Un’“alternanza logica”?
Interventi ricorrenti in tv di personaggi di linea governativa, cambi di palinsesto, conduttori e giornalisti spinti all’uscita nonostante il grande pubblico… la mano del governo è sempre più visibile sulla Rai, struttura che nel 2021 ha dato lavoro a poco meno di 13.000 persone. Il cambiamento in atto non è privo di conseguenze per il dibattito democratico e politico. Giorgia Meloni vuole usare i numeri per “ smantellare l’ennesima bugia ” dall’opposizione (Partito Democratico, Movimento 5 Stelle, M5S), che la accusa di avere più spazio di parola al telegiornale di Rai 1. Accuse, secondo lei, infondate.
La Rai (radio e televisione) è un’istituzione nota per i suoi programmi educativi e culturali che hanno contribuito allo sviluppo dell’istruzione popolare in un paese unito alla fine del XIX secolo. Celebra il suo 100° anniversario il 6 ottobre. Per decenni, la condivisione delle posizioni nelle aziende pubbliche – lotterie – e quindi delle emittenti Rai, avviene tra le diverse forze politiche che compongono il Parlamento italiano: Rai 1 alla Democrazia Cristiana, Rai 2 ai Socialisti, Rai 3 ai Comunisti. Un principio che è diventato legge attraverso una riforma del 2015 portata avanti da Matteo Renzi (ex Presidente del Consiglio, poi leader del Partito Democratico).
L’acquisizione e le sue conseguenze economiche
Opposizione, giornalisti, sindacati e intellettuali mettono in guardia dalla volontà di Giorgia Meloni e dei suoi alleati (la Lega di Matteo Salvini e Forza Italia rappresentata dall’ex giornalista Antonio Tajani) di andare oltre il magnate ed ex premier Silvio Berlusconi. Certo, la presidente del consiglio sta modificando l’organigramma del settore pubblico radiotelevisivo piazzando personalità vicine al suo movimento, senza poter contare su una base di personalità altrettanto esperte e presenti nel mondo della cultura e dei media come a sinistra.
La coalizione al potere interferisce non solo nelle attività dei primi due canali pubblici, ma anche in quelle di Rai 3, storicamente piuttosto di sinistra. Da allora, i noti conduttori di programmi politici e sociali, Fabio Fazio e Serena Bortone, sono stati messi da parte. I programmi dello scrittore Roberto Saviano, come quelli dei giornalisti d’inchiesta della rivista “Report”, vengono alternativamente cancellati, ridimensionati o riprogrammati.
Questi continui cambiamenti destabilizzano ulteriormente un gruppo che manca di risorse umane e finanziarie. E con cui già dagli anni Novanta si confrontano Mediaset (fondata da Berlusconi) e grandi emittenti private come La7 e Nove.