In Italia, ancora in sospeso il destino di una delle più grandi acciaierie d’Europa. Questo sito industriale rappresenta più di 11.000 posti di lavoro diretti e sostiene fino a 20.000 persone nella regione Puglia, una delle più povere del Paese. Ma il sito è in grande difficoltà e l'acquirente ArcelorMittal e lo Stato italiano non riescono a mettersi d'accordo su come rilanciare l'attività.
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Le difficoltà dell'ex Ilva, l'enorme acciaieria di Taranto, sono antiche: il sito è estremamente inquinato, fortemente indebitato e solo due dei cinque forni sono ancora in funzione.
Nel 2018, il numero due al mondo, il gruppo franco-indiano ArcelorMittal, ha acquistato il sito, con il benestare delle autorità italiane desiderose di preservare l’occupazione. Meno di un anno dopo, Mittal stava già cercando di annullare la vendita data l’entità del lavoro di pulizia.
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Per convincere il gruppo a restare e onorare i propri impegni, lo Stato italiano ha poi acquisito una partecipazione del 38% nel capitale a fine 2020. Due anni dopo, Roma ha addirittura stanziato un miliardo di euro per rilanciare il sito e avviarne la riconversione industriale.
Ma da allora la domanda di acciaio ha continuato a diminuire e il sito ex Ilva, sull’orlo dell’asfissia finanziaria, non riesce a pagare i suoi subappaltatori.
Di fronte all’impasse nelle trattative con ArcelorMittal, il governo italiano ha compiuto questa settimana un primo passo verso la messa sotto controllo delle acciaierie. Un provvedimento che ha spinto Aditya Mittal, amministratore delegato del gruppo franco-indiano, a mettere nero su bianco, in una lettera indirizzata a Giorgia Meloni, capo del governo italiano, proponendo ancora una volta di vendere le sue azioni.
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