Un po' di Italia sincera e autentica in una brasserie boscosa sotto una cupola neo-900: questo è ciò che offre questo Farinet, che prende il nome da un “Pettirosso delle Alpi”, mitico e leggendario di fine Ottocento. Abbiamo incontrato qui il rubicondo Pasquale Palumbo che ha dato al luogo il suo colore amalfitano. Adesso è il gioviale Agostino Franco – che abbiamo visto una volta al Pas de l'Ours – che è lì e officia con gentilezza ed efficienza, mentre lo chef Massimo Conte, originario di Salerno, esegue un repertorio seducente.
La parmigiana di melanzane rivisitata alla millefoglie, la calamarata al pomodoro, il risotto con fonduta di formaggio e finferli, le tagliatelle con porcini e pesto genovese, gli scialatellelli all'amafitana o anche la pasta flambé al forno con guanciale e pepe nero accontentano facilmente tutti.
Beviamo lì, al bicchiere e senza spendere troppo, il piacevole dôle di Gillard o lo squisito gamay della cantina l'Or du Vent di Veyras/Miège. E finiamo con la “torta” alla napoletana con una pallina di gelato alla vaniglia o un tiramisù rivisitato in affogato, ricordando che la casa appartiene al pasticciere Taillens che vigila sui dolci da lontano.
Il Farinet
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