Ce ne lamentiamo spesso, turisti americani. Sono chiassosi, si mostrano senza imbarazzo e lanciano sguardi mescolando fascino e sincero interesse su questa vecchia Europa che non sempre capiscono. Nel 2015 un sondaggio ha rivelato che il 43% degli americani ha fatto dell’Italia la destinazione dei propri sogni. Ci piacciono, non ci piacciono, resta il fatto che 5,6 milioni hanno visitato lo stivale nel 2019.
L’Italia, meta mille e una volta sognata dagli americani
Non è un segreto che la vita è bella in Italia. La gastronomia, i paesaggi, l’architettura a volte millenaria e il suo linguaggio musicale ne fanno una delle nazioni più visitate d’Europa. Nel 2017 la terra di Dante e Pasolini è stata la 4e Paese europeo scelto come luogo di villeggiatura dai turisti stranieri. I viaggiatori americani rappresentavano quindi il 3% del turismo straniero in Italia, dietro a Germania (14,1%), Francia e Regno Unito. Adorano Venezia, venerano la Toscana e soprattutto riflettono a Roma, dove molti degli edifici delle loro istituzioni hanno trovato la loro ispirazione.
L’eredità dell’immigrazione
Del loro Paese d’origine a Ellis Island molti italiani hanno compiuto la grande traversata tra la fine dell’Ottocento e l’inizio del Novecento. Spinti dal desiderio di vivere come gli irlandesi prima di loro, il sogno americano, ma anche dalla necessità di salpare dalla povertà, sono oltre 4 milioni gli immigrati dal sud della penisola e dalla Sicilia negli Stati Uniti. , tra il 1880 e il 1924.
Assorbiti e poi digeriti dall’America, portarono con sé un po’ della loro natia Italia, la diffusero in tutti gli ambiti della cultura popolare americana prima di fondersi definitivamente nella massa del popolo americano. Oggi gli americani di origine italiana sono i 5e gruppo etnico più numeroso del Paese, e sono moltissimi coloro che ancora conservano questo patrimonio culturale, in particolare facendo un “viaggio di ritorno”.
Il caldo romanticismo della tavola italiana
Se i francesi pensano di essere gli unici ad essere ritratti in maniera caricaturale nella cultura popolare americana, sappiate che anche gli italiani sono vittime di tenaci cliché nati dall’incontro tra americani e immigrati italiani. Pasta, lasagne e ovviamente pizza sono tra i cibi preferiti dagli americani che hanno un vero seguito di culto nella gastronomia italiana. Sono innumerevoli i ristoranti italiani che hanno investito nel paese dello Zio Sam, al punto che certi piatti serviti e detti italiani sono in realtà solo versioni americanizzate di piatti italiani, rivisitati e doppiati dai buongustai locali.
Nella televisione e nel cinema americani, mangiare francese è un indicatore sociale associato alla borghesia. Per mangiare francese bisogna avere i mezzi, per entrare in un ristorante francese bisogna avere lo “stile” a rischio di scontrarsi. È il romanticismo borghese, il Tocco francese e il suo non so che cosa che piace tanto agli stranieri. Mangiare italiano invece è più legato alla classe media, in altre parole è accessibile. Il design caldo degli interni dei ristoranti italo-americani li rendono i luoghi ideali per i primi incontri o per quelli dell’ultima occasione.
La signora e il vagabondo da Disney (1955), Febbre del sabato sera a partire dal John Badham (1977), A tavola di Stanley Tucci e Campbell Scott (1996), o I Soprano (1999) sono altrettanti film e serie americane che fanno del ristorante italiano uno spazio di comunione amichevole, familiare e romantica. Molti americani in viaggio in Italia vogliono ritrovare il calore che associano alla penisola, o almeno una versione più autentica di ciò che fa parte del panorama culturale ereditato dagli immigrati italiani.
La mafia e la Toscana che salva nel cinema italiano
Il Padrino (1972), Gli Incorruttibili (1987) e liberti (1990), sono considerati dei classici del cinema americano. Già popolari durante la Grande Depressione negli anni ’30, furono inizialmente sostituiti dai film antinazisti della seconda guerra mondiale, per poi tornare negli anni ’50, quando quelli conosciuti in gergo, i “mafiosi”, dall’essere messi in riflettore.
Cristallizzando il ritratto del gangster italo-americano che gioca con gli ingranaggi di un sistema già corrotto, questi film hanno forgiato l’immagine di un’Italia ferma nel tempo, in un passato collocato proprio tra la fine dell’800 e l’inizio degli anni ’90, un periodo durante il quale l’immigrazione italiana è stata la più importante.
La percentuale di italoamericani coinvolti in organizzazioni criminali era relativamente minore, tuttavia, la copertura mediatica di potenti figure della malavita, come Lucky Luciano o John Gotti, ha contribuito ad alimentare l’immaginazione culturale della mafia nel cinema americano. Questa visione negativa delle comunità di origine italiana è stata peraltro fortemente criticata da queste ultime, che spesso si sono ritrovate intrappolate nei cliché del delinquente vestito, incantatore, bugiardo e soprattutto ladro, come se il delitto fosse inscritto nel DNA di gli italiani.
Ma per gli americani, l’Italia e la sua gente non sono solo criminalità e corruzione. È anche amore, romanticismo, passione salvifica a immagine di Sotto il sole Toscano di Audrey Wells (2003) o Lettere a Giulietta di Gary Winick (2010). In questi film, il viaggio in Italia vuole salvare la vita. È sia un viaggio in cui si scopre l’altro, la sua cultura e tradizioni, sia un soggiorno in cui si scopre te stesso per costruire un futuro migliore.
Gli americani amano l’Italia. È in un certo senso il loro paese del cuore, un luogo dove si sentono accolti con una benevolenza e un calore contagioso che non trovano in nessun altro posto in Europa.
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